Inizia una nuova stagione per il Chicken Rugby. E quale modo migliore di iniziarla se non on l’immortale Maurizio Musocchi, per tutti noi “il Conte Asola”. Buon 2019/20 a tutti! (photo credit Alessandro Casale)
Quando sei nato e dove?
“Sono nato a Milano il 29 gennaio 1955”.
Racconta come il destino ti ha portato al Chicken.
“Avrò avuto sedici o diciassette anni, quindi parliamo dei primissimi anni Settanta. Fino a poco prima avevo giocato a hockey su ghiaccio. Bello sport, ma ambiente di merda. Con il passaggio di categoria mi ero trovato ancora peggio e avevo mollato il colpo. Un giorno conosco uno che si chiamava Luigi Moratti e giocava mediano di apertura nella giovanile del Chicken e mi ha chiesto: perché non vieni a provare
anche tu? Non c’è stato bisogno di insistere, non me lo sono fatto ripetere due volte. Pochi giorni dopo mi sono presentato all’allenamento e da lì è iniziato tutto”.
Al contatto fisico eri già abituato. L’impatto con l’ambiente come è stato?
“Tutto un altro mondo rispetto all’hockey, mi sono trovato bene da subito. I miei primi compagni di squadra furono gente come Gianfranco Moioli, Marietto Vellani, Ganassini. Eravamo una giovanile della madonna. Ci allenava Rossi, che poi litigò con il Ghezzi e andò a Pavia. Al suo posto ad allenarci arrivo il papà di Marietto Vellani, che si chiamava Piero, ma che tutti chiamavano Sabu perchè somigliava al protagonista di un telefilm dell’epoca. Un pazzo furioso, ma bravissimo. Con la sua guida arrivammo a giocare il campionato giovanile di eccellenza e a giocarcela alla pari con squadre ben più blasonate. Un anno fummo l’unica squadra a battere il Prato, che poi vinse il campionato. E li battemmo a casa loro! Prima di ripartire per Milano ci comprammo due bottiglioni di Chianti e arrivammo a Milano tutti ubriachi”.
La prima di una lunga serie! Parlando della vittoria, ovviamente.
“Sì, eravamo molto contenti”.
Che ruolo ti avevano assegnato?
“I primi mesi in seconda linea, poi a numero 8. Crescemmo tutti in fretta, tanto che prima ancora di terminare la giovanile fummo spediti in parecchi a giocare in prima squadra, che allora era allenata
personalmente dal Ghezzi. Erano a corto di giocatori e dovevano andare a Sondrio. Venimmo convocati io, Moioli e Marietto Vellani. Quello fu il mio debutto in prima squadra. Mi ricordo il viaggio in treno con
Villa, Nicolini, Borsani, quella generazione lì. E il Ghezzi che giocava a bridge. A Sondrio faceva un freddo mostruoso, ci misero tutti nei trequarti e non ci passarono neanche una palla. Però intanto avevamo rotto il ghiaccio”.
Allenatori e compagni che hai visto passare. Fai qualche nome.
“Dei coach ho perso il conto! Dopo il Ghezzi sulla panchina della prima squadra il turnover era abbastanza intenso: Sabu, il Pitùr ovvero Filippo De Gasperi, Occhini… il più simpatico probabilmente Ian Simpson. Tra i compagni uno che devo citare è Walter Frigerio detto Friz: lui giocava a pallone nell’Agrisport, veniva alla mia stessa scuola, facevamo politica insieme, così lo portai al Chicken”.
Il più forte con cui hai giocato?
“Pietro Barbani. Talento puro. Anche se Pinuccio Petrini aveva una intelligenza tattica superiore. Della vecchia guardia, i numeri uno erano quelli lì”.
Nel panorama milanese il Chicken già la squadra un po’ matta, un po’ irregolare?
“Si, certo. Un marchio di fabbrica”.
Perché hai smesso?
“Ero ad arrampicare sul Campanil Basso, mentre facevo la Fehrmann sono volato e mi sono distrutto un piede. Ho giocato ancora una stagione praticamente da zoppo, poi ho mollato. Comunque non mi mancava molto a raggiungere i limiti di età”.
Ed è iniziata la tua seconda vita, in tribuna e a bordo campo.
“Staccare dopo vent’anni dal mondo del Chicken era impensabile. Ho continuato a venire al campo, per un po’ ho anche insistito ad allenarmi, insomma sono sempre rimasto nell’ambiente. Intanto eravamo
approdati a Rozzano, erano arrivati giocatori nuovi come Pietro Ruggeri, detto Tarantone. La domenica venivo a vedere la partita della prima squadra, e alla fine mi sono ritrovato ad essere una specie di capo tifoso. Poi quando c’è stata la alleanza con il Cus mi hanno chiesto se mi sentivo di fare l’accompagnatore della seconda squadra, e per un po’ ho fatto quello. Ma soprattutto ho passato una vita a fare il guardalinee. Adesso ho passato la bandierina a Piso e a Giambusso“.
Spirito di sacrificio?
“Macché, l’ho fatto perché mi divertivo, mi piace stare accanto ai ragazzi prima della partita e quando entrano in campo, parlare, vedere, capire. E’ il ruolo di noi vecchi”.
Ti sei esiliato in Cadore. Non ti manca il Chicken?
“Sì ma quando passo per Milano non manco mai di venire al campo e poi ci sono un sacco di gialloverdi che mi salgono a trovare”.
Perché ti chiamano Asola?
“Non si può dire…”.
(nella foto sotto Maurizio Musocchi, in primo piano, nel Chicken degli anni Ottanta. Dietro di lui con la barba Massimo Bogni, e alle sue spalle Walter Frigerio; sullo sfondo con la barba bionda Walter
Tomain; davanti a lui con la barba scura Pietro Maggioni, al suo fianco Gianluigi Arcangioli).
Le puntate precedenti:
1) Eugenio “Mastino” Gandolfi
2) Simone De Nigro
3) Samar Sambo
4) Filippo Cicinelli
5) Franchino Ghezzi
6) Loris Giambusso
7) Tonino Vinci
8) Fabio Ferrari
9) Marcello Agrati
10) Emma Bellezza
11) Marco “Piso” Acquaviva
12) Nicola Lemorini
13) Omar El Sayed
14) Il professor Vermondo Brugnatelli
15) Davide Mancino
16) Cecilia Manera
17) Francesco “Truciolo” Cardogna
18) Juan Vargas
19) Alberto Ardizzone
20) Il Buizza
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